Elena Tosca
Direttore Industrial Innovation LabNel 1972, in tempi che definiremmo oggi “non sospetti”, il Club di Roma - organizzazione senza scopo di lucro aperta ai contributi intellettuali di scienziati e umanisti, economisti e politici - commissionò ad un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute off Technology (MIT) una ricerca: “E’ possibile una crescita infinita su un pianeta finito?”
Il risultato fu racchiuso in una pubblicazione “The limits to growth” (Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, William W. Behrens III) che mise in evidenza che la continua crescita dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione alimentare e viste le dinamiche della popolazione, non sarebbe stata sostenibile dal nostro pianeta.
Nel rapporto si sottolinea come la Terra non è infinita, non è in grado di reggere l’impatto generato dallo sviluppo economico e dall’andamento dello sfruttamento delle risorse naturali. La crescita demografica ed economica esponenziale non è pensabile in un pianeta limitato.
Lo studio voleva dare un impulso ad una transizione, il punto di non ritorno non era ancora stato raggiunto, ma il messaggio non è stato ascoltato, soprattutto da chi avrebbe potuto prendere decisioni in tal senso.
50 anni dopo questo studio i dati sembrano confermare che non abbiamo ancora pienamente compreso che l’unico modo per affrontare questo tema risiede in un cambio radicale di paradigma.
Si è sempre utilizzato un approccio unilaterale per ogni problema, realizzando vittorie di Pirro che altro non hanno fatto che spostare i veri problemi nel futuro o nei confini di qualcun altro.
Come affermava Donella Meadows “there is less and less away to throw things into”, dove l’altrove era riferito sia in termini di tempo (gli effetti delle azioni non si esauriscono nel breve ma si diffondono nel medio-lungo periodo), sia in termini di spazio (agire in un contesto implica generare impatti che si propagano altrove). Sostanzialmente, non ci sono più posti dove poter buttare i nostri “rifiuti”, di qualsiasi genere essi siano.
Se adottiamo la definizione di sviluppo sostenibile inclusa nel Rapporto Brundtland del 1987, che lo definisce come: «saper soddisfare i bisogni di oggi senza compromettere la capacità delle generazioni future di poter soddisfare i propri», capiamo subito che i modelli economici e manageriali di oggi non sono in grado di rispondere a questa chiamata.
Questo perché si basano su una visione antropocentrica (o egocentrica), in cui l’uomo si considera proprietario dell’ambiente e ritiene di poter disporre delle risorse naturali secondo le proprie necessità. Il principio di fondo è che l’ambiente circostante è utilizzabile a nostro piacimento e ne possiamo quindi ricavare ciò di cui abbiamo bisogno per i nostri “processi produttivi”, al fine di trarne un profitto.
In contrapposizione a questo modo di vedere le cose, si colloca la visione ecocentrica, secondo la quale la natura è da preservare e da tenere in considerazione al di là della sua utilità. Nell’ecocentrismo la considerazione della natura e delle risorse è sullo stesso livello dell’uomo. La visione è sistemica, l’uomo e la natura, con i suoi diversi elementi sono parte di un unico sistema e l’equilibrio lo si ottiene se si considerano tutti questi componenti sullo stesso piano e livello.
Se parliamo di “modi di vedere le cose”, capiamo subito che il cambio di prospettiva non sia immediato, richiede tempo per potersi realizzare e si concretizza in un vero e proprio cambio culturale.
Tutto deriva dai nostri modelli mentali, che non sono altro che l’insieme delle convinzioni più profonde, delle rappresentazioni cognitive che utilizziamo per comprendere ed interpretare ciò che ci accade e il mondo attorno a noi. I modelli mentali danno quindi forma ed influenzano i comportamenti individuali, organizzativi e sociali (Chris Argyris). Il nostro cervello, sostanzialmente, costruisce dei modelli, in scala, della realtà. Questo lo fa perché la realtà è troppo complessa per poter essere considerata in tutta la sua completezza. I modelli mentali ci servono, come tutti i modelli, o le mappe di un territorio, per poterci muovere agevolmente nella complessità, e quindi poter prendere delle decisioni, prevedere dei risultati, risolvere problemi, fare ipotesi che ci portano a definire le modalità di comportamento ritenute più consone. Lo psicologo Kenneth Craik fu un pioniere nello studio dei modelli mentali e il suo testo “The nature of Explanation” ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, gettando le basi per la psicologia cognitiva e moderna.
Si può quindi capire come la visione del mondo che ci costruiamo costituisce la mappa di riferimento in base alle quali basare ogni decisione, ogni opinione, ogni scelta.
Tornando ai nostri approcci, egocentrico (antropocentrico) ed ecocentrico, possiamo immediatamente notare la presenza di modelli mentali, o assunzioni di base, completamente opposti:
Approccio Antropocentrico |
Approccio Ecocentrico |
Gli esseri umani sono superiori a qualsiasi altro essere vivente |
La natura e gli ecosistemi sono parte di un unico sistema interconnesso dove non vi sono prevaricazioni |
La natura è una risorsa da sfruttare per il beneficio umano |
Ogni elemento della natura ha un valore indipendentemente dalla sua utilità per gli esseri umani |
Il progresso tecnologico è un mezzo per migliorare la qualità della vita umana |
La tecnologia supporta la protezione e il mantenimento di tutti gli ecosistemi |
Gli esseri umani hanno diritti morali intrinsechi, gli altri esseri viventi e la natura sono strumenti per il benessere umano |
La priorità è la conservazione di tutti gli ecosistemi e delle specie viventi nel loro insieme |
Bisogna ricercare benefici immediati per l’uomo |
Bisogna garantire la sopravvivenza delle generazioni future, umane e non |
Cosa può aiutarci a modificare l’approccio e supportarci nel passare dalla visione antropocentrica a quella ecocentrica?
Una risposta risiede nell’adozione del Pensiero Sistemico, una metodologia che basa i suoi presupposti sulla considerazione delle interconnessioni tra le parti, della dimensione dinamica e quindi della valutazione degli impatti delle scelte e delle decisioni, di un orizzonte temporale di lungo termine (Valerdi, R., Rouse, W.B., 2010).
In particolare, il Pensiero Sistemico può essere definito come “quella metodologia che, attraverso il supporto di strumenti e di un linguaggio specifico, ci permette di rappresentare in forma visiva l’insieme delle variabili e delle relazioni che concorrono a determinare un certo fenomeno, di evidenziarne il comportamento nel tempo e di identificare possibili interventi e cambiamenti al fine di ottenere il risultato desiderato.” (D’Amato, V., Tosca, E., 2016)
Sostanzialmente, se parliamo di sostenibilità, parliamo di sfide complesse, parliamo di elementi con forti interrelazioni e con una dinamicità e cambiamenti importanti (EEA, 2019).
Ecco perché una metodologia come il Pensiero Sistemico può diventare utile per attuare la svolta.
È necessario affrontare le sfide della sostenibilità con una visione d’insieme e non frammentandole e riducendole a singoli elementi. Non c’è posto per il riduzionismo, che va bene per affrontare situazioni semplici (Allen et al, 2019). Ogni elemento va visto in funzione dell’impatto sugli altri e sui benefici complessivi, altrimenti si rischiano azioni controproducenti. Non solo, quando poi si è chiamati a misurare gli effetti delle iniziative e delle scelte, è importante non cadere nella trappola di confondere target e misure.
Infatti, un approccio non sistemico, orientato al breve periodo e a una visione frammentata della realtà, porta a cadere nella trappola della nota “Goodhart’s law”, vale a dire di ciò che accade quando le decisioni sono basate sugli effetti previsti sui target e non sui benefici per i quali sono state introdotte. Un esempio è riscontrabile sulle iniziative locali introdotte nel Regno Unito e finalizzate a rafforzare la raccolta dei rifiuti per ridurre il tasso di inquinamento.
Al fine di conseguire più velocemente il raggiungimento del target del peso della raccolta, alcune amministrazioni locali hanno spinto per una raccolta mista. Questo ha portato da un lato a realizzare l’obiettivo del peso (circuito B), ma dall’altro ad avere maggiori costi di rilavorazione e maggior inquinamento dovuto alla scarsa qualità del materiale raccolto, per via della contaminazione (circuito R) (Waste & Resources Action Programme, 2017).
Una visione sistemica della situazione avrebbe reso visibile e immediatamente riconoscibile tale effetto (fig 1).
Fig 1: gli effetti controintuitivi di un’azione finalizzata al conseguimento di un target non adeguato. (nota: il segno S indica che la relazione tra le variabili è nella stessa direzione, il segno O indica che la relazione è in senso opposto)
Questo semplice esempio ci aiuta anche a capire che la metodologia del Pensiero Sistemico richiede un vero e proprio cambio nel modo di pensare. Capire come funzionano realmente le dinamiche e quali sono le variabili da considerare richiede saper uscire dai propri recinti mentali, sapersi mettere in discussione, riconoscere punti di forza ma anche punti di debolezza delle proprie ipotesi e assunzioni di base, porsi in una modalità di apprendimento per poter completare la propria visione delle cose, integrandola con ciò che in precedenza non era noto o non veniva considerato (Sterman, J.D., Sweeney, B.L., 2007).
L’approccio diventa multidisciplinare, orientato sia al breve che al medio-lungo periodo.
Pensare in modo sistemico significa comprendere la rete di relazioni che sono alla base di problemi complessi (come la crisi dell’ambiente e tutti i suoi risvolti) e di come essi si sviluppano. Vuol dire comprendere ciò che guida i comportamenti insostenibili, osservando le dinamiche che gli alimentano, per poter intervenire e modificarne lo sviluppo nel tempo (Zurcher et al., 2018)
Ancora una volta, questo cambiamento di consapevolezza, per potersi realizzare, richiede tempo e impegno ma è necessario se veramente ci si vuole far carico della sostenibilità, a qualsiasi livello, che sia governativo, sociale, industriale o di semplici cittadini.
Bibliografia
Allen, S., Cunliffe, A.L., Easterby-Smith, M., 2019. Understanding sustainability through
the lens of ecocentric radical-reflexivity: implications for management education.
D’Amato Vittorio, Tosca, Elena, 2016. Pensiero sistemico & management innovation. Le nuove competenze per gestire la complessità. Franco Angeli
European Environmental Agency (EEA,) (2019) Sustainability transitions: policy and
practice, EEA Report No 09/2019, European commission
Meadows, D. H., Meadows, D. L., Randers, J. & Behrens, W. W., 1972. The limits to
growth. New York.
Sterman, J.D., Sweeney, B.L., 2007. Understanding public complacency about climate
change: adults’ mental models of climate change violate conservation of matter.
Clim Change 80, 213–238.
Valerdi, R., Rouse, W.B., 2010. When systems thinking is not a natural act. 2010 IEEE
International Systems Conference.
Waste & Resources Action Programme. (2017). Recycling Tracking Survey 2017
Behaviours, attitudes and awareness around recycling.
Zurcher, K.A., Jensen, J., Mansfield, A., 2018. Using a Systems Approach to Achieve
Impact and Sustain Results. Health Promotion Pract. 19 (1_suppl), 15S–23S.