Intervista a Raffaele Secchi, Dean della Liuc Business School e autore del libro “Fabbriche 4.0. Percorsi di trasformazione digitale della manifattura italiana”.
L’obiettivo di qualsiasi attività industriale è quello di realizzare un prodotto con caratteristiche tali da permettere buone performance di vendita sul mercato. Questo è possibile se chi acquista il prodotto ne riconosce la qualità a discapito dei prodotti dei competitor.
Nell’era dell’Industria 4.0, però, non possiamo limitarci a pensare che le tecnologie abbiano un ruolo centrale solo nell’acquisizione di vantaggio competitivo e nel miglioramento della qualità dell’output del processo industriale. All’alba del 2021, infatti, questo non può avvenire a discapito dell’ambiente: la tecnologia, oggi, è anche uno strumento con cui diminuire l’impatto dei processi produttivi sull’ambiente, in un’ottica di economia circolare in cui la sostenibilità ambientale è abilitata anche dalla sperimentazione tecnologica.
Oggi, quindi, si sta diffondendo un nuovo approccio che punta a trovare un equilibrio nel modo di fare business, in maniera rispettosa per l’ambiente e per le persone che vivono il sistema fabbrica, in risposta a un nuovo senso di responsabilità ambientale e sociale, non ancora del tutto emerso.
Ne abbiamo parlato con il professor Raffaele Secchi, Dean della Liuc Business School e autore del libro “Fabbriche 4.0. Percorsi di trasformazione digitale della manifattura italiana”.
Professor Secchi, iniziamo con un riferimento alle tecnologie abilitanti 4.0: quali benefici possono essere conseguiti grazie alla loro applicazione nei processi industriali?
I benefici che possono essere conseguiti attraverso l’applicazione delle tecnologie 4.0 in azienda sono riconducibili principalmente a due tipologie:
La digitalizzazione delle operations ha rappresentato l’approccio prevalente dal punto di vista manageriale che si è largamente diffuso negli ultimi dieci anni per diventare quello più dibattuto. C’è una convergenza importante tra Industry 4.0 e lean management e l’integrazione tra i due approcci, oggi, può costituire un’importante occasione di miglioramento all’interno delle aziende che li adottano.
Il lean management si focalizza sulla riduzione degli sprechi e fa emergere le attività aziendali che aggiungono valore anche grazie l’utilizzo di macchinari e di software all’avanguardia che analizzano in profondità i processi. Digitalizzare l’azienda, però, non è sufficiente se poi non esistono persone in grado di leggere i dati e interpretarli nel modo corretto. Per sfruttare appieno l’investimento in digitalizzazione, quindi, è fondamentale formare le persone e creare la giusta cultura all’interno della fabbrica stessa. Il modello deve diventare un vero e proprio metodo di lavoro capace di aggiungere valore ai processi aziendali. Anche qui, l’impatto sulla sostenibilità delle attività sulla vita delle persone è centrale.
Le tecnologie costituiscono un elemento propulsivo nel processo di innovazione ma non è appropriato attribuire alle tecnologie il primato rispetto ad altri elementi che sono coinvolti nel processo di trasformazione: dev’esserci equilibrio tra dimensione tecnologica, dimensione dei processi e dimensione umana associata alle persone e alle loro competenze.
Il processo guidato esclusivamente dalle tecnologie è destinato a fallire. C’è una componente umana forte da considerare: è indispensabile lavorare sui processi e sulle competenze per riuscire a gestire efficacemente il passaggio e agevolare la trasformazione all’interno dell’azienda.
Troppe aziende hanno puntato sulla sostituzione tecnologica a discapito delle persone. L’adeguamento delle competenze è stato visto come secondario, mentre è indispensabile cambiare approccio e iniziare a formare il personale prima ancora di adottare nuove tecnologie. C’è ancora molto da fare, da questo punto di vista, sia sui profili operativi sia sui profili manageriali.
Certo, in positivo ma anche in negativo. Molte aziende hanno fatto l‘errore di circoscrivere l’adozione di tecnologie 4.0 alle aree operative perdendo di vista i potenziali impatti sui modelli competitivi.
Attraverso le tecnologie più moderne oggi è possibile raggiungere livelli di personalizzazione del prodotto molto avanzati: per l’azienda può diventare un’opportunità interessantissima con cui servire il proprio mercato di riferimento in maniera prima impensabile. Questo significa portare una ricaduta chiara sul mercato attraverso il miglioramento delle operations e del modello di business.
Le aziende hanno sempre più chiaro che prodotto è il centro della loro attività, ma ci sono anche casi illuminati che non si accontentano e stanno iniziando ad arricchirlo con servizi che rendono più conveniente e più facile il suo uso.
Fornire servizi affiancati al prodotto è una traiettoria da perseguire per dare valore aggiunto al cliente finale.
Nel settore del packaging, per esempio, ci sono aziende che hanno trasformano il contratto di vendita in un contratto di service: non si paga più l’impianto alla consegna ma il fornitore viene remunerato con contratti mensili in funzione al raggiungimento di determinati livelli di performance dell’impianto, non solo in relazione alla produttività ma anche in relazione alla sostenibilità dell’impianto stesso. In questo modo il fornitore diventa corresponsabile dei livelli di performance e aiuta il cliente a migliorare lo stato dell’impianto per ottenere una remunerazione più elevata. Questa è una via che non sarebbe stata possibile senza le implementazioni del le tecnologie 4.0.
Arrivati a oggi, questo è un prerequisito necessario: il punto non è adottare tecnologie per digitalizzare i processi ma ripensare ai modelli di business per ottenere vantaggio competitivo spendibile sul mercato e sottrarre quote ai competitor mantenendo un occhio puntato sulla sostenibilità ambientale e sociale dell’intero processo produttivo. Le tecnologie non sono il fine della trasformazione digitale ma un mezzo per raggiungerla.